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14 Aprile 2011
La contessa di Salasco
Oggi, a distanza di un secolo, Maria è diventata un fantasma che nessuno conosce.Eppure, è stata una delle più belle ed intraprendenti nobildonne dell'800 ed ha vissuto l'intera epopea del Risorgimento
Rumore e polvere, rombo di cannoni, carrozze, cavalli...tutto turbina davanti agli occhi neri di Maria. Occhi grandi, pieni di spavento che a tratti mandano bagliori e si spalancano in un grande vuoto.
Questa è nei suoi ultimi anni la contessa di Salasco: una povera folle che trascorre le giornate vestita di rosso nonostante l'età. Anche le pareti della sua camera sono letteralmente tappezzate di drappi rossi come le famose camicie garibaldine.
Chi la vede, agli inizi del novecento, in una casa di cura di Mendrisio cerca nel suo volto le tracce di una bellezza che è stata leggendaria.
Scomparse.
Oggi, a distanza di un secolo, anche Maria è diventata un fantasma che nessuno conosce.
Eppure, è stata una delle più belle ed intraprendenti nobildonne dell'ottocento piemontese, ha vissuto tutta intera l'epopea del risorgimento, ha conosciuto ed amato Garibaldi, ha scritto montagne di lettere, ha avuto amicizie prestigiose, ha pubblicato libri.
La sua storia, la si può ora raccontare solo con molte lacune perché ancora si cercano di scoprire, e con molta fatica, i lati oscuri di una vita inquieta e decisamente fuori dall'ordinario.
Maria nasce bene, in una prestigiosa famiglia piemontese attorno al 1830. Al fonte battesimale è Maria Luisa Alessandra Flavia Canera di Salasco, figlia
del famoso conte Carlo, aiutante generale di re Carlo Alberto al momento della prima guerra di indipendenza. Tocca a lui firmare l'armistizio che decide il destino sfortunato di questa operazione militare e dello stesso re; con l'esilio volontario di Carlo Alberto viene esonerato dall'incarico e si ritira nella sua bellissima dimora in Pinerolo.
Cresciuta lontana dal padre e sotto tutela di una madre bella e intelligente, Marianna Pallavicino delle Frabose, Maria è libera, irrequieta e selvaggia, forse troppo. Ama ogni tipo di sport, cavalca furiosamente e maneggia la sciabola assai meglio dei suoi fratelli. Ha il temporale negli occhi, la guerra nel sangue ed una irrequietezza curiosa che la madre cerca di affinare mandando la ragazza a studiare in Francia e in Inghilterra secondo le migliori tradizioni liberali. Con un'istruzione così larga, Maria parla, legge e scrive correntemente in francese, inglese e tedesco
Quando scoppiano le cinque giornate di Milano incrociamo per la prima volta Maria, non esattamente sulle barricate in quanto giovanissima, ma ampiamente coinvolta con i rivoluzionari. Lei che a Milano dichiara di esserci nata ha modo di conoscere i Manara e i Dandolo, il conte Martini e la bella società della nuova Italia risorgimentale, trovando fuoco alla sua passione per le grandi imprese romantiche.
La madre, tutrice unica della ragazza,vede fin troppo bene l'irrequieta intelligenza della ragazza, il suo troppo facile infiammarsi alle cause ed alle idee nuove, e ne vede anche la straordinaria bellezza.
Oggi rimangono poche immagini di Maria, ma i report del tempo anche i più malevoli la dicono in effetti bellissima e non solo, anche estremamente seducente.
Uno scrittore di fine ottocento, Curatolo la descrive così :
“Con due occhi neri che mandavano saette, essa fu veramente bella, di una bellezza affascinante,aristocratica. Vestiva sempre alla militare, cosi come ce la rappresentano le stampe dell'epoca. Fiera nel portamento, Maria Martini camminava come la bellissima contessa di Castiglione”
In poche parole, con quel temperamento, quei modi e quel volto, la ragazza è da maritare prontamente.
Tra i molti spasimanti uno è particolarmente insistente. É il conte Enrico Martini Giovio della Torre.
Enrico Martini vive solitamente tra Milano e la villa di S. Bernardino, alle porte di Crema, dove è nato nel 1818. La villa, oggi luogo romantico e semi-abbandonato, è verso la metà dell'ottocento un rifugio accogliente e protettivo per i migliori patrioti lombardi, amici del conte. Enrico ha da poco perso la giovane moglie Deidamia, morta dopo appena otto mesi di matrimonio; una perdita enorme, seguita poi nel tempo da quella del fratello di lei, Luciano Manara.
Esiste un buon carteggio fra i due amicissimi cognati custodito assieme a tutte le carte del conte Enrico presso il museo del Risorgimento di Milano.
Siamo nel vivo delle speranze risorgimentali. Le lettere sono vibranti, intrise di ideali luminosi. Luciano seguirà in breve la sorella nella tomba immolandosi nel 1849 durante i fatti della Repubblica Romana. Ahimè, il luccichio delle sue spalline avrebbe attirato il fuoco nemico; alla moglie Carmelita, rapita e sposata giovanissima, non sarebbero restati che i tre figli piccoli e una tristissima e commovente lettera inviata dal fedele Enrico Dandolo.
Luciano, l'eroe risorgimentale, muore a soli 24 anni.Il cognato Martini che viceversa non è un patriota da grandi battaglie ma uomo da salotto, si fa da parte sua notare come gran diplomatico e dandy raffinato. Ecco come viene descritto dai contemporanei:
“Bel giovane, di aspetto distinto, elegantissimo nel vestire, abbondante della parola, caro alle signore nonostante zoppicasse un tantino da un piede come Talleyrand, pieno di ingegno e di spirito, facile ad apprendere le lingue
(ha recitato in francese con alcune dame a scopo di beneficenza al Teatro Re, ricavandone fama di ottimo filodrammatico), frequenta la più eletta società milanese Cosa strana, però, egli non ha saputo conquistare completamente nei saloni le simpatie degli uomini più autorevoli, vale a dire dì quella parte del patriziato avverso all'Austria, la quale non può vincere una diffidenza impulsiva verso l'insinuante cremasco”.
Sarà proprio l'abile conte Martini l'inviato dei milanesi in rivolta alla corte sabauda nel marzo del 1848 e la missione gli vale riconoscimenti e incarichi prestigiosi da parte di Cavour e di Lamarmora a Parigi, a Roma, presso il Vaticano ed un seggio a Genova quale deputato.
Puntuale anche la ritorsione del governo austriaco: al transfuga vengono confiscati tutti i beni.
Questo fatto mette il conte in una situazione spiacevolissima. Fresco sposo della nostra bella Maria, si trova di colpo a Parigi dove risiede, con le tasche vuote, lui che non aveva mai voluto accettare stipendio dal governo sabaudo, con l'orgoglioso pretesto di avere largamente del suo. Maria poi, non è donna che si contenta e spende a piene mani con l'incoscienza del suoi vent'anni e le follie del suo temperamento.
Già più grande di lei di una dozzina d'anni e claudicante, il conte Enrico ha dovuto faticare molto per convincerla al matrimonio. Per mesi nel 1850, ha messo in atto un assiduo corteggiamento in quel di Pinerolo, arrivando di sera a far serenate con la chitarra sotto le finestre di casa della bella.
La dimora in questione, che mantiene anche oggi l'antico nome del Torrione, è tuttora splendida, a dispetto delle vicende dell'antica proprietaria, E' una villa seicentesca che all'epoca, (siamo intorno al 1850) la famiglia Salasco abita frequentemente. Il generale e la moglie se ne erano innamorati al punto di indebitarsi pesantemente, all'epoca in cui lui era ministro della guerra, per trasformare il complesso preesistente da almeno quattro secoli in una residenza-scrigno tipica delle grandi dimore ottocentesche. Oggi che è la dimora di Anna Doria Lamba, molte stanze e l'atmosfera tutta, assai particolari ci riconducono a Maria. Passando in un immenso parco all'inglese, uno dei pochi in Piemonte dotato di una “ ha” che permette la vista sulla proprietà, ed immerso nel verde di alberi fruscianti, è come se Maria portata dal vento ti venisse incontro con i suoi cavalli, le sue sciabole, la sua irruenza.
Qui al Torrione tornerà Maria, già in rotta con il marito.
E' infelice, furiosa, amaramente delusa. Il suo trionfo nei salon parigini è stato grandioso ma di breve durata.
I1 conte Antonio Casati, allora segretario della Legazione Sarda a Parigi, scrive all'amico di averla veduta la sera del 19 maggio 1853 " bella come una dea », e soggiunge cavallerescamente: “ Ritornata dal déjeuner dansant dato dai Faucigny in occasione del matrimonio del figlio colla Pallavicini-Mosco, essa fece onore ad un magnifico abito rosa che le donaste e che certamente non poteva essere messo
meglio in mostra che in dosso ad una così gentile signora “.
Sembra però che questa gentile signora non tenesse una condotta irreprensibile e che, fra le altre cose, si coprisse di debiti che il marito era costretto ad onorare e questo, dopo il sequestro dei beni da parte dell'Austria, rende il menage un inferno
La cronaca dell' epoca non è per nulla tenera con Maria. Lapidariamente il Barbieri, la riassume così:
“Colta e intelligente, ma frivola e vana, la contessa rese disgraziatissimo un uomo che pure aveva molte qualità per essere amato”.
Il contenzioso fra i coniugi è noto da tempo ma il conte Enrico, con la pazienza di Giobbe ha sempre taciuto e sopportato.
Maria invece, orgogliosissima e fiera non sopporta l'imperdonabile umiliazione di un marito che piega la schiena e promette all'Austria un ritiro in campagna e l'abbandono di ogni attività sediziosa
Maria è indignata e impaurita. Via da Parigi, via da Torino, una vita sepolta nelle campagne del cremasco a 23 anni.
Maria litiga e urla, rimane a Parigi, poi, a corto di quattrini, chiede aiuto al padre. Ne ottiene un fermo rifiuto alla separazione e forse la reclusione in convento pratica usuale all'epoca per mogli e figlie particolarmente ribelli. Una sola fonte riferisce questo. La realtà è che la costrizione, palazzo o convento c'è e che le condizioni di vita sono inaccettabili.
Tra i motivi del contendere c'è anche la loro unica figlia, piccolissima.
La bimba ripete nel nome Virginia quello della mamma del conte, cui somiglia molto nella persona. In mancanza di un ritratto della giovane Virginia che morirà nubile, appena passata la giovinezza, dobbiamo accontentarci del ritratto della nonna, una stupenda signora, ritratta da Hayez in veste di mitologica di Luna. (Non sazio il grande pittore la ritraeva ancora nel grande quadro dei Vespri siciliani dove Virginia sosteneva la parte della fanciulla oltraggiata)
Poiché né il padre né la madre sono in grado di occuparsi adeguatamente della piccola, la madre per l'irrequietezza e l'instabilità, il padre per i motivi opposti,Virginia rimane a Parigi affidata alla sorella di Enrico, Emilia, contessa Taverna.
Emilia è una donna elegante ed austera, fuggita dal marito conte di primo mattino, con l'ardire di saltare in carrozza e di andarsene da sola a Parigi,
La contessa Emilia, grande amica di Adolphe Thiers, riceve nel suo salon la élite intellettuale francese e straniera.
Alta, magra, lineamenti fini, capelli castani, guarda sempre con gli occhi dolcemente socchiusi, è in relazione con la contessa Clara Maffei, ma evita la principessa Belgiojoso come del resto limiterà il più possibile i contatti con la cognata Maria. In un'epoca di crinoline, si ostina a portare abiti aderenti e neri. La contessa morirà nella sua villa presso Crema, l'8 febbraio 1899.
Emilia Taverna e Maria Martini, le due cognate, non potrebbero essere più diverse. Maria nel confronto, risulta subito perdente.
Incapace di recuperare per intero la propria posizione dotale, instabile ed irrequieta, totalmente in rotta con le famiglie Salasco e Martini, per un temperamento romantico e avventuroso come quello di Maria non resta che la fuga.
Maria come tanti esuli del tempo, poiché è poco provvista di denaro e non osa andare a Parigi dove è troppo nota, va a Londra, sede di tutti i fuoriusciti e dove si vive una specie di bohème che a lei molto si addice.
E' qui che conosce un uomo che sarà la sua fissazione per tutta la vita: Giuseppe Garibaldi.
La data dell'incontro, il 10 maggio 1854, Maria la ricorda a lui ad ogni anniversario, con lettere devote e appassionate, sovente sopra le righe.
Garibaldi, quando la incontra a Londra rimane certo colpito da questa aristocratica giovanissima signora (24 anni) dai modi spicci e dalle abitudini sportive. Il generale è reduce da una relazione con Emma Roberts una vedova e ricca signora inglese che lo ha a dir poco annoiato. Lei lo avrebbe voluto sposare ma alle abitudini di vita troppo aristocratiche di lei, lui non riusciva ad adattarsi:
« Un servo ad ogni passo, e poi tre ore a pranzo e mai l'ora di andare a letto. Un mese di questa vita, esclamava il Generale, mi avrebbe ucciso! ».
Quanto spazio può dare Garibaldi ad una donna nella sua vita tumultuosa da eroe dei due mondi? Non molto.
Se c'è relazione sentimentale e fisica (Montanelli se ne dice certo, altri sono più cauti), essa avviene secondo uno schema che è sostanzialmente un classico nella vita del generale.
Lui non cerca le donne, non ne ha assolutamente bisogno. Sono loro che cercano lui, a frotte, colpite dalla sua leggenda e dai suoi modi. Un garbato signore dal sorriso dolce e dai modi impeccabili che controlla la gente col corruscare degli occhi dal colore mutevole e che esprimono una forza straordinaria. Garibaldi è quello che è ed anche quello che i suoi uomini e le sue donne vogliono che sia.
Per Maria è l'eroe puro, l'uomo perfetto, l'uomo cui sacrificare tutta l'esistenza
L'amore, a prima vista, è per entrambi il classico colpo di fulmine. Tanto che Maria gli scrive: «Sarò cosa vostra. Ve lo giuro».
Cavalleresco e gentiluomo, Garibaldi non è insensibile alle manifestazioni di affetto da qualunque gli vengano, e sa sempre trovare, sopratutto nei momenti di grande sconforto e di disperazione delle sue molte donne, parole dolci e rassicuranti
Per la natura irrequieta, e l' anima angosciata, le lettere di Maria risultano sempre tragiche, romantiche, assolute. Il carteggio tra Garibaldi e Maria, durato quasi vent'anni,è ricco delle frasi ardenti di lei e delle affettuose e pacate risposte del generale
Liguria, 4 febbraio 1860.
Amico mio,
Nelle ore vostre tristi, sovvenitevi di me. Quando avrete bisogno di me, domandatemi. Sono tutta vostra
Maria.
La contessa non ha limiti e si offre all'eroe come compagna «indivisibile nella gloria e nella sventura». Garibaldi cerca di dissuaderla, ma forse senza troppa convinzione
Maria riesce infatti a sopravvivere alle sue sventure solo con una vita intensissima, mescolando amore e politica, fanatismo e sacrificio.
Infiammata dai discorsi di mazziniani e garibaldini londinesi, così simili a quelli dei patrioti milanesi, la contessa decide di darsi anima e corpo alla causa. Scrive e tiene discorsi,
Nel 1859, prima di tornare in Italia, scrive in francese un libro sulla politica italiana che intitola” Episode Politique en Italie”. La sua firma è orgogliosa e tutta per esteso "Madame la Comtesse della Torre M. Martini Giovio, nata contessa Pallavicini Salasco".
Frequenta anche, lei avvezza alle battaglie e al sangue e forte di carattere i corsi da infermiera che a Londra vanno proponendo le seguaci di Florence Nightingale.
Legge e impara ad applicare i metodi del famoso libretto della nurse che resta ancor oggi il fondamento di ogni azione infermieristica.
Sarà brandendo questo e vantando queste sue conoscenze che la vediamo a Milazzo all'impresa dei Mille.
"Una strana donna che Garibaldi aveva incontrato a Londra nel 1854, e che era ormai uscito di unirsi a lui sul campo di battaglia, con indosso una tunica ussaro, un grande cappello piumato, e una spada di lunghezza improbabile" (Garibaldi e i suoi nemici, Christopher Hibbert).
Pochissime furono le donne oltre a Maria, che vengono ammesse da Garibaldi all'impresa, Jessie White Mario. qualche ragazza del popolo che si intrufola alla belle e meglio a insaputa del generale e, unica a comparire nell’elenco ufficiale dei Mille, Rosalia Montmasson, savoiarda di Saint Jorioz (Annecy), la compagna, poi ripudiata, di Francesco Crispi.
E' dopo l'entrata delle camicie rosse in Palermo che la contessa non sa più resistere al desiderio di recarsi in Sicilia, che raggiunge il 21 luglio; due giorni prima della battaglia di Milazzo, il « Precursore », un giornale che si pubblica in Palermo, così ne annuncia l'arrivo:
« La contessa Maria Giovio della Torre, che in Crimea prestò tante cure ai feriti con la celebre signora Nightingale, appena arrivata in Sicilia si è messa a capo di
un'eletta schiera di giovani donne a raccogliere collette pei nostri feriti. Le madri di questi valorosi verseranno lagrime di gioia, vedendo che i loro figli trovano le
più care mostre di affetto, e noi siamo nel dovere di contribuire a quest'opera di paterna benevolenza ».
Maria si conduce da intima del generale, sempre accanto a lui, al comando, nelle sue stanze.
La incontra lì e quasi non la riconosce il conte Giulio Litta Modigani
che così scrive nel suo diario: ”Prima di sedere a colazione, entrò nella sala una donna con un sombrero chiaro in testa, ornato di velluto a pensé » e due pomponi idem. Aveva una giacchetta di tela russa greggia, or nata come quelle delle Guide di Garibaldi e la veste corta di eguale tela, ricca di pieghe, ma senza « cage
per calzatura poi, aveva degli stivali di pelle nera, che le arrivavano al ginocchio. Cotesto «accoutrement» mi colpì molto; ma il mio stupore fu non poco, quando vidi
che questa persona, che in viso mi sembrava tutt'altro che attraente, mi salutò disponendosi a parlarmi. Ma in quel momento il Crispi, avendola fatta entrare, io non potei avvicinarmele; però, essendo accompagnata da un siciliano, mi rivolsi a lui per sapere qualche cosa sul conto di questa persona, il cui strano contegno mi aveva colpito. Questi mi disse essere una signora De la Tour, di origine italiana, che aveva vissuto quasi sempre in Inghilterra fino a quindici anni, poi si era stabilita in Francia... Aveva terminato appena di darmi questi ragguagli, che questa signora ritornò nella nostra camera. Era la contessa Martini che avevo dinanzi a me, ed io non potevo rinvenire dallo stupore di un simile incontro! Allora ci salutammo con maggiore confidenza. Vedendola da vicino, si poteva scorgere che il tempo e il suo strano vivere avevano fatto non pochi guasti sui suoi tratti, una volta generalmente reputati di non comune avvenenza. Essa mi narrò che partiva per Milazzo, dove con altre signore andava a dedicarsi alle ambulanze ».
Ma il conte l'ha conosciuta nello splendore dei suoi venti anni. La vita ha inciso e anche le difficoltà e il molto sport. Ma anche con quella pelle dorata dal sole e tagliata dal vento il garibaldini ne restano affascinati
Giulio Adamoli, la ricorda così: «E non potrei finalmente passare sotto silenzio (...) la seducente contessa Martini Salasco, di antica prosapia piemontese, la quale, nella illusione, in cui era, di prestar aiuti e di distribuire soccorsi, cavalcava fra mezzo le squadre garibaldine in un leggiadro costume, che arieggiava l’uniforme delle Guide, e volentieri si soffermava presso il nostro comando»
A Milazzo e a Barcellona, dove sono gli ospedali dei feriti, non si vuole saperne di lei. Il rigido Dr. Ripari la fa espellere dalle ambulanze; ma sembra che lei non sia pronta ad obbedire neanche al Dittatore; corre voce, che Garibaldi una volta la voglia cacciar fuori col frustino, ma che in realtà di fronte a lei, non riesca a far altro che battersi il frustino sulla coscia,
Narra il Bandi :
Al Faro, un meriggio,mentre nel campo garibaldino sulla marina, pacificamente si mangiava, alcuni legni borbonici avvicinatisi pian piano alla riva, apersero d'un tratto un terribile bombardamento. Fu un panico, un fuggi fuggi generale! Ma la contessa, buttato via un piatto d'insalata che stava mangiando, irruppe d'un tratto a cavallo colla sciabola in pugno tra gli artiglieri fuggiaschi sotto la gragnuola della mitraglia e li ricondusse, gridando sui pezzi, puntando poi ella stessa un cannone
L'episodio viene poi confermato da altri garibaldini che si trovano presentì.
In uno di quei giorni, il 15 agosto, Cesare Abba vede la contessa e nelle sue a Noterelle d'uno dei Mille si affretta a scrivere : « Ho veduto un ufficiale delle Guide camminare lesto lesto, lungo la spiaggia, senza sciabola, proprio una donna, fianchi e seno. Bella, faceva l'aria da bambina, ma si guardava dietro con una coda d'occhio cosi serpentina 1... Gli ufficiali della brigata ne chiacchieravano; il colonnello Bassini, scuotendo la testa e il frustino, brontolava sordamente dietro quella figura. E' una contessa piemontese che corre la ventura; si dice che spanda balsamo, pietosa come una suora di carità; ma si aggiunge che il vecchio Dottor Ripari l'ha fatta cacciare dall'ospedale di Barcellona, dove essa voleva
fare l'angelo sopra i feriti di Milazzo ».
Maria accennerà nelle successive lettere al generale a questa che lei vive come una vera e propria campagna persecutoria e di diffamazione. Infatti al termine dell’impresa dei Mille lei scrive:
Genova, 6 febbraio 1861.
Caro Generale ed amico,
Sono di ritorno dopo avere adempiuto fino all'ultimo la mia missione presso i feriti. Dirvi la loro gratitudine, mi sarebbe impossibile; dirvi com'essi vi amano, come domandano di voi, è cosa difficile a scrivere o ad esprimere. Io vi scrissi più volte; se non avete ricevuto le mie lettere non è colpa mia, né del mio cuore, né di un'amicizia che conoscete. Ho seguito tutte le fasi diverse che si seguirono con ansietà febbrile, e posso dire che se l'affetto che vi porto potesse subire un aumento, sarebbe stato certamente in quest'occasione, in cui vi siete dimostrato al di sopra di tutte le ire di partito e di persone ; difetti comuni in un paese nuovamente costituito. …...
Non voglio essere calcolata nel numero degli importuni che vi assediano, e benché conosca l'amicizia e il sincero affetto che avete per me, pure mi astengo
dal venirvi a vedere. Voglio che voi mi teniate sempre nel numero di quei pochissimi amici, che vi amano senza egoismo, senza interesse. Tutta vostra
Maria della Torre.
Ancora:
Milano,10 maggio 1865.
Generale! Amico!
Ecco il 10 maggio! Undici anni fa, ebbi la fortuna e l'onore di andarvi a ricevere a Londra e di profferirvi quell'amicizia, che non si smentì mai. Voi darete un mesto ricordo alla mia morte. Sovvenitevi che fui sempre degna del vostro affetto. Fate ciò che vi chiedo di fare.
Vostra Maria contessa della Torre.
Garibaldi non è insensibile alle angosce di Maria e nella sua olimpica semplicità, cavallerescamente, risponde:
Caprera, 22 maggio 1865.
Contessa amatissima,
Ma voi mi avete disperato con le vostre due ultime lettere. Perché avete deciso di morire ? Ditemelo e ditemi ciò che io posso fare a sollievo vostro, perché io vi amo sempre, bella ed infelice donna !
Rispondetemi, subito, ve ne prego. Vostro sempre
G. Garibaldi.
La lettera arriva come un balsamo; ma l'idea del suicidio non è abbandonata. In quei giorni la Maria appare a Crema, vestita come al solito, alla militare,
con pantaloni e scudiscio; si dice che sia lì per schiaffeggiare e provocare a duello un suo fratello, maggiore di cavalleria in quella guarnigione che la critica per il suo stile di vita e per l'indecente modo di vestire.
Milano. 8 giugno 1865.
Generale! Amico!
La vostra lettera l'ebbi oggi soltanto. La meritavo; era l'ultimo, il solo conforto, ch'io mi aspettassi. Sono serena.
In qualche angolo della vostra Caprera, sopra una roccia, fate scrivere il nome di Maria. Esso vi farà sovvenire di chi vi amò al di sopra di ogni cosa. Voi vedete a quante e a quali infamie sono soggetta! E non vi dissi mai nulla ! Sapevo che sarebbe venuto un giorno per rendermi giustizia e sollevare molte maschere.
Garibaldi ! oggi l'Italia ha più che mai bisogno di voi. Aiutate questo infelice paese ; se non lo fate voi, chi lo farà ?
Questi tempi non erano per me; c'è troppa slealtà, troppa viltà dì opere e di pensieri Maria contessa della Torre.
Milano, 8 giugno 1865.
Generale! Amico!
Voi perderete in me un cane fedele, il Narrarvi il martirio morale di due anni sarebbe inutile; il miotestamento e le carte annesse lo diranno. Ebbi per voi un culto, un'adorazione ! Invidiavano voi e me; e fecero di tutto per allontanarci. Io soffrii tutto senza addolorarvi.
Morendo, posso giovare ; viva non lo posso. Lascerò un grande rimorso a chi ebbe il triste coraggio d'insultarmi. La certezza che voi darete un mesto ricordo alla
mia memoria, che eseguirete fedelmente ciò che domando alla vostra amicizia, mi conforta.
Morire senza vedervi, senza una parola vostra, era per me un fiero ed immeritato dolore. Ora sono serena. Gradite la mia riconoscenza; in voi ho adorato la virtù.
Riceverete una mia ciocca di capelli ; conservatela per memoria del 10 maggio 1854.
Maria contessa della Torre.
Caprera, 13 marzo 1866.
Maria Carissima,
Ebbi i vostri due ritratti e ve ne ringrazio. Il bellissimo vostro volto vi è pieno di mestizia e mi diveniste più cara. Voi siete una vittima della perversità umana.
In questi tempi, in cui la parte eletta della nazione si millanta di vergogne, che volete? Però voi, giovane, ricca e bella, paragonandovi colle infelici creature, che
vi circondano non dovete affiggervi e in una prossima vostra m'invierete un ritratto, che mi confermi non es- sere vane le mie ammonizioni. Vostro sempre
G. Garibaldi.
Trasformato l'amore in dedizione assoluta, Maria continua a seguire Garibaldi in ogni sua battaglia. La vediamo quindi cacciata da Roma per i suoi pubblici proclami, appena in tempo per non far la fine della povera Arquati nel 1866 e la vediamo tornare con cavallo, sciabola e camicia rossa durante la guerra per la Venezia, oltre Bezzecca accanto al colonnello Bruzzesi.
Nel 1870 è alle ambulanze nell'armata dei Vosgi e si ritira in Parigi per assistere i feriti negli ospedali durante l'assedio. Sono gli ultimi momenti eroici ed anche le ultime volte che vede Garibaldi.
Dopo la guerra franco-prussiana, a corto di denaro, a Maria non resta che riprendere la sua vita inquieta a Parigi.
Vittima degli usurai, nel 1874 è condannata per debiti.
Tra il 1870 e il 1874 è infatti riuscita, valendosi del suo nome e della posizione per ottenere credito, ad accumulare debiti con alberghi e numerose imprese in Parigi: quando viene arrestata e processata ha accumulato nove separate denunce di truffa. Condannata a un anno di carcere, i giudici le rifiutano la richiesta che i suoi 15 cani e 17 gatti possano condividerne la prigionia.
Purtroppo in precedenza ha anche già trascorso due giorni di carcere per violazione dei regolamenti comunali (presumibilmente in materia di tenuta degli animali).
Anche questa sua straordinaria passione e compassione per gli animali, Maria la condivide con Garibaldi.
Nei medesimi anni infatti, l'eroe stanco e tremendamente invecchiato, ottiene che si costituisca in Torino (1871) la Regia Società per la protezione degli animali, che ancora oggi sopravvive nell' ENPA, Ente Nazionale Protezione Animali.
In occasione del processo in Parigi nel 1874 giornali si occupano nuovamente di Maria che da tempo si fa chiamare comtesse De la Tour e non si vuol credere che questa donna stravagante e un po' esaltata sia la contessa che dice di essere.
Dovranno ricredersi perché la polizia rovistando fra le sue carte trova lettere di Cavour, di Victor Hugo, di George Sand e di molte altre personalità del tempo, compreso il generale Prim assassinato nel 70, poco prima che giungesse in Spagna il pretendente a lungo corteggiato dal generale, Amedeo di Savoia , fratello di Vittorio Emanuele secondo, destinato a regnare brevemente sulla Spagna assieme alla consorte Maria Vittoria.
E' difficile parlare del lento declino di Maria, del suo sprofondare nella solitudine, nella povertà e nella malattia; difficilissimo è seguire le sue mosse.
E' certo che lascia la Francia dove non vuole più rimanere e torna in Inghilterra falsificando i suoi dati per quanto può. Gli amici inglesi sono costretti a cercarla per offrire aiuti che lei se può rifiuta.
Nel censimento del 1881 si dichiara all' 84 di Warwick Gardens, Kensington,
come Maria, vedova Contessa Della Torre, una vedova di 38 anni, nata a Inverness, in Scozia. Non dichiara nessuna occupazione, e allo stesso indirizzo indica la sua governante Eliza Lackersteen, sposata, di 60 anni, irlandese con due figli Maria e Edmund. In quell'anno trascorre anche sette mesi nella prigione di Holloway per non aver pagato i suoi debiti.
Al suo ritorno a casa, accusa una donna di nome Margaret Wild di rubare le sue cose, ma non viene creduta.
I più presumono che sia una truffatrice. La contessa veste e parla stranamente, fantastica, continua a mantenere un gran numero di animali e quasi mensilmente, riceve un addebito per violazione delle normative sanitarie locali, poiché i suoi animali sono sovente un fastidio e vengono tenuti in condizioni non igieniche.
Calcolando le sue spese, e notando i suoi comportamenti, così come appare dai verbali processuali, si vede che ha un sincero interesse per il benessere degli animali e che la maggior degli animali che mantiene sono povere creature abbandonate che lei attivamente reinserisce e recupera.
Quando nell'agosto del 1890 viene denunciata per non aver pagato vitto e alloggio da Robert Chipps del Pack Horse Inn, a Gerrard Cross, ha perso la governante e la sua famiglia è costituita da 23 gatti, 40 capre, due cani e un asino.
Per merito di donatori misteriosi , probabilmente nobili inglesi già devoti a Garibaldi, può comperarsi una casetta sempre a Gerrard Cross, ma la sua mente vacilla ormai troppo. Fino al 1914 il suo nome compare fra i protesti, ma invano perché i suoi debiti inglesi non verranno mai saldati.
Maria verrà portata in Italia, dimenticata e folle, diventando grazie alla sua fibra forte e ben temprata, una delle poche sopravvissute dell'epoca risorgimentale.
Morendo, alla fine del 1913 porta con se l'enorme mistero della sua eccentricità (fu davvero pazza o semplicemente una donna libera ed in anticipo sui tempi?) e della sua totale incapacità di flirtare con la storia.
Ha avuto tutto e tutto ha perso e non sappiamo ancora oggi se lo abbia fatto per passione, per insouciance o ribellione.
Certo moltissime cose sono ancora da scavare e la figura politica e umana è tutta da rivalutare, come garibaldina, come infermiera, come scrittrice, come emancipazionista.
Maria, la contessina di Salasco, attende ancora che le vengano restituiti dignità ed onore, ed onestamente credo sia tempo perché di sicuro se li è ampiamente meritati.
Rosellina Piano
Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano.
Formazione di laureati in medicina e di laureati in psicologia che scelgano di proseguire la loro formazione in psicoterapia, secondo la psicoanalisi freudiana orientata dall'apporto teorico-clinico datole da Jacques Lacan. Istituto riconosciuto dal MIUR con DM 25.11.2011.Casa Ubaga, un luogo nell'entroterra ligure dove circolano saperi in condivisione
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