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27 Giugno 2011
Mantea la divinatrice
Un destino imprevedibile, una donna come molte: impagabile nelle difficoltà, fragile nel quotidiano. Con alcuni libri e centinaia di articoli la scrittrice Mantea ci ha mostrato un variopinto spaccato del secolo scorso.Oggi, più attuale che mai, risulta interessantissima la sua storia personale difficile e intensa.
Mantea è un nome sorridente ed esotico ed è un nom de plume. Significa in greco antico, divinazione. Lo ha scelto, molto ironicamente, Gina Sobrero donna di lettere, giornalista e scrittrice, quando ha iniziato a firmare, nel 1889, gli articoli per la Gazzetta Piemontese diventata poi La Stampa di Torino.
Per entrare nel mondo di questa donna basta scorrere una manciata dei suoi articoli (i capocronaca, come si diceva), sovente leggeri, senza titolo, ammassati a bordo pagina come “Fatti del giorno”, “Cronaca cittadina” e “La vita che si vive”: Un reportage dall'altro secolo. Sono pressoché identici gli altrettanto briosi scritti per “La Tribuna” di Roma,” Il Flirt” di Palermo e “ La donna” di Torino.
Per avere un'idea concreta di Mantea, occorre ahimè leggere davvero tutti i suoi scritti unitamente ai testi più impegnativi, romanzi e quant'altro.
E anche così si incontra sempre un'ombra di riserbo, un non detto che obbliga ad interpretare mentre si legge.
Questo fare congetture va a tutto favore di Mantea che, scrittrice quasi trascurabile, una delle molte dell'onda rosa che alla fine dell'ottocento si gettano con zelo nella scrittura, non esita a sparigliare tutte le altre, quando decide di dare in pasto all'amato pubblico la sua storia personale.
Lo fa molto tardi, con pruderie e col sospetto che più che altro voglia spaventare le fanciulle in fiore ed affossare ogni tipo di romanticismo,ma lo fa e svela che le sue foto ed i suoi scritti ingannano.
Lei, la divinatrice, la signora che trova risposte e soluzioni a tutto è stata a sua volta ingannevole ed ingannata, ingenua, disperata,persa.
E stata espatriata, come chiarisce fin dal titolo del suo migliore romanzo dedicato alla madre con queste esatte parole:
“Alla mia mamma la prima copia del libro che mi ha costato tanta parte di vita ma che ho avuto il coraggio di scrivere in poche ore ridendo" . La sua Gina “Espatriata”, il libro-rivelazione esce nel 1906 e sembra frutto di sfrenata fantasia.
Narra di una ragazza sveglia e carina, figlia di un colonnello e di una principessa, allieva modello dell'elegante ed esclusiva scuola delle Figlie dei Militari di Torino, che all'età giusta si innamora di un ufficiale giunto da lontano,addirittura dalle Haway.
L'ufficiale in questione, uomo di fascino e di presenza, sangue misto, risponde al nome di Robert Wilcox. A un secolo di distanza negli States è considerato un eroe, fra i principali artefici dell'unione delle Haway; in patria è dimenticato da tempo e nel libro della moglie è un volubile e primitivo avventuriero, un rude, un selvaggio (un uomo insomma!) che le ha rovinato la vita.
Nell'ordine, le ha rubato i suoi sogni: niente romanticismo fin dalla prima notte di nozze; le ha decapitato le speranze: niente corona delle Haway che l'incauta Torino di fine ottocento aveva già posto in capo a lui , cosi ben portante ed alla giovane sposa. Nessuna comprensione coniugale ma una vita di sottomissione.
La storia di una parentela stretta col re Kalauela e di una vita politica importante se non proprio di un trono, il bravo Wilcox la vanta di sicuro a Torino, almeno quando chiede con occhi umidi di commozione la mano di quella graziosa ragazza bionda; il padre di lei, il barone Lorenzo, colonnello della miglior tradizione piemontese, bene imparentato con la casta militare e politica è morto da poco , la ragazza è da accasare.
Giungono per il grandioso matrimonio anche i messi delle Haway con ricchissimi doni per gli sposi.
Il matrimonio, nato fra equivoci e speranze troppo grandi, si sbriciola in fretta. Wilcox è richiamato in patria, ma perde il favore del re costretto a malincuore a concedere una costituzione al popolo proprio per effetto dell'educazione troppo liberale che aveva voluto dare ai suoi sudditi, Wilcox per primo.
La sposa dopo un viaggi lunghissimo, da Torino a Parigi e Londra , New York e San Francisco, scopre alle Haway una realtà da paura. Case di legno, famiglie allargate, usanze tribali, zanzare e tanto caldo umido non sono che l'inizio.
Il paradiso tropicale visto da una torinese perbene è assai limitato e indigesto.
Wilcox, figlio di un commerciante americano e di una hawayana imparentata (lei,sì) con la famiglia reale, non ha soldi. La piccola baronessa, già incinta e piena di paure reali e di fisime, cerca scampo al consolato francese. E' la prima fuga, o meglio un tentativo. Robert è povero, ma non difetta di risorse, è veramente un uomo fuori del comune e si dà alla lotta politica.
Acquartierati a San Francisco, i due sposi, a soli due anni al matrimonio, si detestano.
La moglie scrive e traduce, da lezioni di italiano e francese per mantenere se stessa e la bambina.
Alla fine, quando Robert decide di tornare alle Haway scappa, sale su una nave appena pu pagarsi il passaggio e via verso casa.
A le Havre la sua piccolissima bambina , stremata dal viaggio, muore.
Gina si precipita a casa e immediatamente chiede di annullare questa farsa crudele di matrimonio. Ci impiegherà anni con la tradizionale prudenza e lacunosità delle nostre leggi.
Alle Haway Robert impiega molto meno e, per sua fortuna, fa la giusta scelta. Sposa una bellissima anglo hawayana, Teresa che gli porta relazioni principesche, denaro e persino due figli.
In Italia, la povera Gina se vorrà qualcosa dovrà sudarselo a oltranza.
Intanto deve vivere e procurarsi il pane. Sa scrivere. Da ragazza aveva pubblicato le deliziose “ Memorie del collegio”Molti a Torino conoscono la sua storia e attratti dalla sua singolarità la stanno a sentire
Si mette in pista, scrive ai giornali, sfodera il suo buon inglese e le sue nozioni di cosmopolitismo.
Nessuno la assume, ma tutti le danno rubriche da tenere.
E tenace e affidabile . Vede le cose con occhio attento, le considera, parla come un libro stampato
C'è molto bisogno di un personaggio cosi. Dalla fine dell'ottocento il tempo è iniziato a scorrere in fretta e gli stili di vita a cambiare.
Le classi sociali si mescolano. Nessuno sa più dire con esattezza cosa si deve fare come e come ci si deve comportare. Ragione per cui si fanno largo le signore delle buone maniere ed i loro breviari del bon ton. Vanno per a maggiore Jolanda , che poi è la marchesa Plattis e la marchesa Colombi che invece marchesa non è, bensì la moglie sfortunata e poi separata del direttore del Corriere della Sera.
Non c'è giornale per signore che non che non abbia sotto svariate e fantasiose insegne la sua brava rubrica di consigli. Ci sono elzeviri e pezzi in cronaca e soprattutto , le lettere degli smarriti signori e signore che chiedono in qual modo ci si debba comportare.
Scrive a Mantea una certa Crisantemo Viola per saper quanto tempo deve tenere il lutto dopo la morte dell'amato consorte. Lettera zeppa di sospiri.
Mantea risponde secondo le regole. Un anno di lutto stretto ed uno di mezzo lutto
Davvero così tanto? Si dispera Crisantemo Viola. Non si può fare un po' meno?
Paziente Mantea ribatte che sì, per una giovane vedova si può scalare qualche mese e attestarsi su sei mesi di lutto stretto e sei mesi lutto a metà.
Ma così si perdono i balli di Carnevale, ringhia la vedova nella terza lettera, e siamo già a Natale
Filosofa e ironica la risposta definitiva di Mantea.
Caro Crisantemo Viola, faccia un bel viaggio all'estero per le feste di Carnevale e poi ascolti il suo cuore. Se avrà tanta voglia di ballare, stia sicura, il suo lutto sarà già da un pezzo terminato e il problema degli abiti del tutto superato.
Cara, intelligente Mantea....
giornalista celebre, dispensatrice di buon senso e di buona educazione, non riesce a superare un problema renale oggi banalissimo.
Muore giovane, improvvisamente. nella primavera del 1912. Come si sa all’epoca basta poco.
Detta alla sorella le ultime risposte per la posta dei suoi lettori e ancora non son giunte nelle redazioni che già i giornali con cui collabora escono listati a lutto.
“Povera cara amica”, titolano, e dicono la verità.
Lei, come amici ha solo i suoi lettori
Rosellina Piano
Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano.
Formazione di laureati in medicina e di laureati in psicologia che scelgano di proseguire la loro formazione in psicoterapia, secondo la psicoanalisi freudiana orientata dall'apporto teorico-clinico datole da Jacques Lacan. Istituto riconosciuto dal MIUR con DM 25.11.2011.Casa Ubaga, un luogo nell'entroterra ligure dove circolano saperi in condivisione
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