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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

14 Febbraio 2011

La finalità di una psicoanalisi

Per rispondere alla domanda “Che cos'è la psicoanalisi?” si può partire dalla questione di come la psicoanalisi considera lo stare male di un soggetto, e di come e con quali finalità di conseguenza uno psicoanalista accoglie un soggetto che lamenta di stare male. In questo senso, possiamo anche domandarci se e come la psicoanalisi si differenzia da tutte le altre terapie.

La finalità di una psicoanalisi

Possiamo cominciare col dire che la finalità della psicoanalisi, e quindi l’obiettivo di uno psicoanalista che accoglie la domanda di qualcuno, non è che la persona stia meglio. Neppure che stia peggio, beninteso, e inoltre si può anche aggiungere che, in certe condizioni, stare “meglio” può essere una precondizione per avviare un’analisi. Per esempio, se qualcuno soffre di un dolore fisico molto forte può darsi che, fino a che permane quel dolore, non ci sia per quel soggetto la possibilità di occuparsi di altro che del dolore che prova, e che la sua urgenza sia quella di placare almeno un po’ il dolore per aprirsi ad altro.
Ma in ogni caso, come dicevo, la finalità di un’analisi non è quella di stare meglio, sebbene lo stare meglio sia una conseguenza del lavoro analitico, cosa che cercherò di argomentare.
Per provare a dire le cose semplicemente, possiamo innanzi tutto dire che la finalità prima di un’analisi è quella che un soggetto si interroghi sul suo stare male, ovvero che la sofferenza di cui patisce divenga enigmatica per lui. Si può cogliere quindi in prima battuta la differenza fra una terapia il cui obiettivo sia il benessere del paziente, da un’analisi in cui la finalità è quella che il paziente si ponga delle domande sul suo stare male, sul perché gli capita ciò che gli capita.
Questo obiettivo è sostenuto da una ipotesi, ovvero che il soggetto (termine su cui torneremo subito) non sia mai del tutto estraneo a quel che gli accade. Certamente, nella vita accadono molte cose che non sono dipendenti dalla nostra volontà o dalla nostra attività. Innanzi tutto nasciamo senza averlo domandato, e ciò accade in un certo luogo, in un certo tempo e in un certo contesto che non dipende da noi. Poi, abbiamo delle caratteristiche fisiche che non siamo noi a scegliere: alti, bassi, bruni, biondi, e così via. Nei primi anni della nostra vita siamo circondati da persone che si prendono cura di noi e che finanche ci permettono di sopravvivere, e che hanno un certo modo di fare, un certo carattere, certe difficoltà. Insomma, tutto ciò accade, ma per la psicoanalisi a tutto ciò che accade il soggetto dà una propria risposta, una risposta particolare. Ed è in questo senso che la finalità prima dello psicoanalista è che il soggetto possa interrogarsi sulla propria risposta, sulla parte che gioca quindi, negli accadimenti della vita.
Occorre tuttavia aggiungere che uno psicoanalista può accogliere qualcuno orientando nel modo opportuno i suoi interventi e la sua modalità di condurre gli incontri con la finalità che il paziente possa innanzi tutto accorgersi che c’è una parte che egli gioca nella sofferenza di cui si lamenta, a partire da un presupposto, un presupposto che è stato Freud a scoprire, e che è l’esistenza dell’inconscio. Dunque, dicendo che il soggetto non è mai del tutto estraneo a quello che gli accade, in psicoanalisi intendiamo parlare del soggetto dell’inconscio.
Che cos’è allora il soggetto dell’inconscio? Innanzi tutto possiamo darne una definizione negativa, dicendo, a partire dalla sua stessa formulazione, che non è la stessa cosa del soggetto della coscienza,  ciò di cui siamo consapevoli, ciò che pensiamo e sappiamo, o crediamo di sapere, di noi stessi e degli altri e così via. Un’analisi, infatti, non è una percorso di introspezione.
Ma possiamo provare a spingerci un po’ più in là, facendoci accompagnare da Freud che ha introdotto l’ipotesi dell’inconscio per dare conto di tutta una serie di fenomeni psichici (come lapsus, atti mancati, sogni, e sintomi) che sono incontestabilmente prodotti da un soggetto ma che nello stesso tempo sono anche ad esso “estranei” nel senso che il soggetto non  sa dire come e perché si sono prodotti. Dunque, per riprendere quanto introdotto prima, la finalità prima di un analista è che il soggetto possa accogliere che effettivamente egli produce atti, parole e sintomi che hanno una relazione con la sua vita psichica, ma che non sa dire come e perché si producano.
Possiamo pertanto dire che l’inconscio è un’ipotesi che rende conto di qualcosa che si presenta come estraneo ma che allo stesso tempo è ciò che di più intimo anima il soggetto, producendo una divisione, una divisione fra ciò che si pensa e ciò che si dice, fra ciò che si vorrebbe fare e ciò che si fa, fra l’ideale a cui si tende e la modalità con cui in effetti ci si conduce nella vita.
Ecco che si può meglio intendere in che senso un analista ha come primo obiettivo che il soggetto si interroghi sul proprio star male, in altre parole che possa cogliere questa dimensione di divisione e possa cominciare ad interrogarla: perché ripeto a mettermi in situazioni in cui sto male? Perché vorrei raggiungere certo obiettivi e nei fatti mi trovo a comportarmi in modo da allontanarli? Perché volevo dire una certa cosa e ne ho detta un’altra? E dunque, in questa divisione, chi sono?
Da questo punto di vista, la psicoanalisi è diversa da tutte le altre terapie. Potremmo dire, a partire da quanto detto fino ad ora, che per la psicoanalisi un sintomo può diventare una risorsa per un soggetto, la via regia (per parafrasare Freud) perché un soggetto possa interrogare la propria posizione e la propria responsabilità in ciò di cui si lamenta, mentre in generale nelle altre terapie un sintomo equivale ad un disturbo da eliminare e pertanto la finalità terapeutica equivale a tacitare quella divisione che nel sintomo faceva capolino.
Ma occorre aggiungere almeno ancora un punto. La finalità di un’analisi non è che qualcuno stai meglio, come dicevo all’inizio, e pur tuttavia un’analisi ha come effetto anche un effetto terapeutico, anzi si potrebbe dire, un vero effetto terapeutico. Ciò di cui si fa esperienza in un’analisi è in effetti che farsi carico della responsabilità che si gioca in ciò di cui ci si lamenta è conviene. Conviene nel senso che equivale a passare da una posizione di vittima impotente a una posizione in cui è possibile trovare dei modi per far fronte in maniera creativa con ciò che succede, accogliendo ciò che di impossibile c’è nella vita di ciascuno.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
 

Paola Bolgiani

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