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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

19 Aprile 2011

Il corpo che parla, il corpo che non parla

La progressiva medicalizzazione della nostra esistenza è andata sempre più annodando insieme il rapporto salute e malattia con il rapporto vita/morte.

Il corpo che parla, il corpo che non parla

Infatti, nel corso del XIX secolo si è consolidato un paradigma medico-scientifico che ha posto in un diverso rapporto questi quattro elementi. Solo da quel momento la malattia non è più stata considerata come un accidente, ma come qualcosa di strettamente connesso alla finitezza dell’organismo umano. “L’uomo non muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi proprio perché fondamentalmente può morire”, scrive Michel Foucault nel 1967 ne La nascita della clinica.
Parlare di cure mediche oggi coincide spesso con il fatto di parlare di grafici, statistiche, diagrammi, una dimensione che non sembra avere a che fare con l’umano. Il ricorso sempre più diffuso ai protocolli tende ad eliminare dal rapporto medico/paziente la dimensione della parola, la sola che permette di dare valore alla singolarità del rapporto con la precarietà dell’esistenza del proprio corpo. La parola permette a ciascun soggetto di farsi carico di questa singolarità e di trovare le soluzioni opportune per attenuare la sensazione che a volte ci assale di “subire” le vicissitudini del nostro corpo.
Jacques Lacan avvertiva il medico sulla necessaria attenzione da rivolgere al rapporto singolare del soggetto con la malattia ma anche con la guarigione, che non possiamo dare per scontata: la resistenza ai progressi nel campo delle cure mediche ma anche la spinta alla vita di certi soggetti, pur in condizioni cliniche disperate, lo dimostrano continuamente.
Oggi ci troviamo sempre più confrontati con il fatto che la medicalizzazione delle nostre esistenze tende ad alimentare un ideale di immortalità: la medicina, come una protesi tecnica della vita, propone la promessa dell’eterna giovinezza e della salute dei corpi ad ogni costo. Questa illusione rischia di produrre nelle persone una sorta di deresponsabilizzazione rispetto alla funzione che ciascuno può svolgere nel non degradare troppo il funzionamento del corpo. Come a dire: non c’è bisogno che ci metta del mio, tanto ci pensa la medicina a guarirmi. Si potrebbe perfino ipotizzare che questa deresponsabilizzazione sia uno degli ostacoli principali alla prevenzione.
L’unicità del rapporto del soggetto con l’organismo ed i suoi cambiamenti porta a considerare che quando parliamo di come è cambiato il concetto di malattia, ma anche quello di salute, non possiamo prescindere dal considerare che se, spesso, il passaggio dalla condizione di salute a quella di malattia entra nelle nostre vite in modo inaspettato, anche il “ritorno” alla salute non si produce sempre in modo automatico e lineare.
Chi si trova ad incontrare soggetti che si trovano in una condizione di sofferenza, si accorge ben presto che l’incontro con la malattia del corpo si presenta come un evento che rompe una sorta di continuità dell’esistenza. Si tratta infatti di un’esperienza a sé stante, per cui tutto quello che viene dopo non si annoda automaticamente a quello che veniva prima. Qualcosa è cambiato irreversibilmente e non solo al livello dell’organismo. La malattia ci confronta con la finitezza dell’organismo, ci pone di fronte a qualcosa di nuovo, di sconosciuto, qualcosa che abbiamo dato, fino a quel momento, per scontato, cioè il nostro desiderio di salute.
Se da un alto non possiamo negare l’importanza di una sempre migliore qualità delle cure mediche, è fondamentale tenere in conto, come fa la psicoanalisi, che il corpo di cui la medicina si prende cura non si può ridurre né solo alla forma esteriore, alla sua immagine, né solo all’organismo biologico. Non è solo l’oggetto nelle mani del medico, radiografato, osservato, sezionato e frazionato. La complessità del rapporto del soggetto con il corpo tocca ciascuno in modo differente e per questo la psicoanalisi rifiuta la logica delle cure standardizzate su cui si fondano sempre più le politiche sanitarie.
Se siamo convinti che il soggetto possa fare appello alle sue risorse anche là dove interviene una malattia, per la psicoanalisi si tratta di “ascoltare il corpo” al di là delle categorie diagnostiche e delle risposte preconfezionate, senza fare appello quindi ad un sapere già definito. D’altronde Freud ha potuto scoprire l’inconscio perché ha fatto parlare le isteriche che si rivolgevano a lui con sintomi corporei che nessun medico riusciva a capire e, di conseguenza, a guarire. Si è posto, cioè, in una posizione di non sapere e non con quella certezza con cui spesso la medicina ci vuole illudere di poter padroneggiare i corpi. Certezza che, quando viene meno, è causa di profonde angosce nei soggetti. Infatti un sollievo soggettivo, che può essere anche sollievo da un malessere del corpo, si può produrre quando qualcuno ascolta il soggetto e non lo annichilisce né con le illusorie certezze né con le impotenze della medicina.



 

Silvia Morrone

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